Etichettato: Cinema iraniano

I Ragazzi del Paradiso. Storia di bambini adulti.

Ragazzi del Paradiso di Majid Majidi

Un solo paio di scarpe da ginnastica per due. Sono di Ali e Zahra, fratello e sorella in una indigente famiglia di Teheran. Lui perde le piccole scarpe rosa di lei, appena ritirate dal ciabattino: non possono far altro che accordarsi per scambiarsi, ogni mattina, le uniche calzature rimaste, quelle di Alì. Zahra gli corre incontro ogni giorno, dopo essere stata a scuola, affinché anche lui possa recarsi in classe nel pomeriggio.

Corrono Alì e Zahra. Corrono fra le vie di una Teheran di cui è rimasto pochissimo; corrono, in mezzo alle botteghe, sopra ai canali di scolo, sotto la pioggia; corrono per sfuggire alla povertà, alla sfortuna, alle ingiustizie. Corrono perché sono dei piccoli adulti, costretti a prendersi cura dei loro genitori, silenziando i propri bisogni, arrabattandosi per non dare altre preoccupazioni alla loro povera famiglia, facendosi carico di cose che non dovrebbero riguardarli.

Fatevi strizzare un po’ il cuore dai sorrisi tristi di questi due bimbi. Dalle loro lacrime, e anche dalla loro allegria mentre giocano con le bolle di sapone. Quando corrono a perdi fiato. Quando inseguono una felicità impossibile, ma lo fanno con tutte le forze che hanno in corpo. Quando ci mettono tutto il loro desiderio, la propria testardaggine. Quando riparano e proteggono la relazione fra loro; e quando riparano alle preoccupazioni dei propri genitori. Quando sentono una miseria ancor più grande della propria, e sanno rimanere in silenzio. Quando subisco l’ingiustizia da parte degli adulti, incapaci di relazionarsi con loro. Quando sanno continuare a rifornire di speranza e desiderio le proprie azioni.

E’ un piccolo gioiello da veder Children of Heven. E’ un film iraniano del 1997 (l’anno de La Vita è Bella). Ragazzi del Paradiso. Lo trovate su Prime.

Di aquiloni, cinema, Elly e libertà.

About Elly, la scena dell’aquilone.

“Che c’è tesoro?”
“Riesci a farlo volare?”

Provate a guardare questa scena. E’ tratta da About Elly.
Così. Senza sapere nulla del film, dell’Iran, di tutto quello che la sottende.
Provate.

Sentite la gioia di Elly. E poi la sua angoscia. E poi la sua felicità guizzante.
Quella gioia che non riesce a vivere completamente anche in qualcosa di profondamente bello e semplice come il volo di un aquilone. Come di quel vento. Come di quel mare.

Poi potrete pensarvi trentenni, benestanti, socialmente inseriti. Con un hijab in testa. Le maniche lunghe fino ai polsi in estate.
E con una storia – di oblio, violenza personale e politica – che non è solo vostra: è di una comunità. Che vi segue come un ombra anche se siete trentenni, benestanti, socialmente inseriti.
Provate.

Cercavo da molto questa scena. Dopo aver visto il film. Dopo il tormento del film.
Non sono un cultore di cinema, men che meno del cinema iraniano: genericamente ha ritmi troppo lenti e significati troppo angusti per me. Eppure questa scena mi è rimasta dentro impigliata. Incastonata.

L’allegria, l’angoscia, l’affanno, la gioia, e ancora dolore, e poi il riso di Elly. E ancora la sua gioia. Gli schizzi prodotti della sua corsa. La voce del mare che sembra chiamare. La libertà sul suo volto. Le sue grida. L’aquilone come un “falco alto levato”. E ancora il senso di oppressione.

Dopo questi fotogrammi accadrà qualcosa di terribile e irreparabile: perché questa scena un attimo prima della tragedia? Mi trafigge l’idea che il regista abbia voluto punire Elly per questo gesto di intima, piccola, completa felicità.