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L’Infinito. Tonda, incalzante, intima bellezza.

L’Infinito. Per le vie di Recanati.

Io lo ricordo perfettamente.
Ricordo perfettamente che inforcò i mezzi occhiali -verdi- che teneva sempre in borsa; che li fece scivolare un po’ verso la punta del naso; e quindi passare il cordino dietro la nuca, in quel suo gesto un po’ impacciato.

Poi prese il libro -la mia maestra; frequentavo la seconda, al massimo la terza elementare-; lo piegò un po’ -con religiosità- facendo scorrere con energia il palmo fra le pagine; e -come sempre per tenerlo aperto- nella piega infilò il dito indice.

Poi lesse. Lesse l’Infinito.
Solo su “colle” ci scrutò da sopra gli occhiali, e perse un po’ di attenzione; poi la lettura si fece quel lungo, caldo, febbrile, nascosto incedere che è.
E lesse “quiete” dilatando il suono della i; scese di tono su “fingo”; e vibrò la voce su “stormir”; quindi allungò i suoni di “comparando”, quasi a sillabarla, con lentezza incalzante; squillò la voce, gradualmente, dall'”eterno” fino al “suon di lei”. 
E infine il meritato riposo: la pausa del mare. L’infinito-mare.
Mentre accompagnava le sue parole faceva movimenti dolcissimi del polso, come un consumato direttore d’orchestra.

Rimasi sbalordito. Non avevo capito niente. Ma avevo compreso benissimo.
La mia maestra è morta solo qualche anno fa. Le devo un sacco di cose: anche l’amore per la poesia; il gusto della parola tonda, perfetta. E l’amore per la bellezza.